Genova, una torre e due ponti. Cronaca di disastri annunciati

I due ponti progettati da Morandi

Il drammatico crollo del viadotto Morandi a Genova il 14 agosto col suo pesantissimo carico di morti ha fatto riportare alla memoria un episodio degli anni ‘60 avvenuto in Venezuela in cui pure trovarono la morte degli innocenti a causa dell’incuria dei progettisti di un altro ponte progettato dall’ing. Morandi, simile a quello genovese.

Non solo. Il crollo di parte di quel ponte, il General Rafael Urdaneta sul lago di Maracaibo, risulta sinistramente simile alle cause del crollo della Torre Piloti di Genova il che riconduce, come un cerchio di sciagure che così si chiude, alla tragedia appena avvenuta nel capoluogo ligure.

Andiamo con ordine. Il ponte General Rafael Urdaneta – la cui immagine fotografica di per sé richiama immediatamente alla mente le immagini del nostro ponte Morandi prima del crollo – fu inaugurato dopo tre anni di lavoro il 24 agosto 1962 e fu considerato il primo ponte moderno del suo genere per la tecnologia utilizzata per la costruzione in mare aperto. Al di là delle palesi similitudini di design, anche il ponte sul Polcerva a Genova è stato costruito con il medesimo schema strallato (un ponte strallato è un ponte di tipo “sospeso” nel quale l’impalcatura è retta da una serie di cavi – gli stralli appunto – ancorati a piloni o torri di sostegno) utilizzato per le sei campate centrali dell’Urdaneta. Lungo 8,7 kilometri consta di 135 campate in totale.

A differenza del ponte Morandi – il cui crollo parrebbe in primissima battuta poter essere attribuibile sia al cosiddetto “affaticamento dei materiali” – fenomeno ben noto in ambito ingegneristico consistente nel decadimento delle caratteristiche meccanico-fisiche dei materiali per effetto dell’usura – e, secondo un altro parere tecnico, anche per un difetto di progettazione che rendeva il ponte di per sé vulnerabile sin dalla costruzione – il crollo di alcune campate dell’Urdaneta avvenne nell’aprile 1964 a causa dell’urto di una petroliera da 36.000 tonnellate, la Exxon Maracaibo, contro i piloni 30 e 31 del ponte che crollarono trascinando con sé tre campate consecutive del ponte.

Ecco, dalla descrizione dell’incidente, avvenuto di seguito ad un guasto al motore della petroliera Exxon Maracaibo che le impedì di manovrare ed evitare i piloni poi urtati ed abbattuti dell’Urdaneta, arriviamo al secondo anello della catena di fatti, che accostano le tre tragedie che descriviamo, con in qualche modo Genova al centro.

La progettazione del ponte Urdaneta non aveva affatto preso in considerazione la possibilità che i piloni potessero essere mai urtati da una nave di passaggio. Questa vera e propria omissione progettuale fu la causa originaria – la conditio sine qua non – che mise in moto la catena causale che portò al crollo delle tre campate centrali ed alla morte di sette persone.

Esattamente e assurdamente come avvenuto dopo circa 50 anni nel disastro della Torre Piloti di Genova, abbattuta il 7 maggio 2013 dalla porta container Jolly Nero della Compagnia Ignazio Messina & C., anche in quel caso per un guasto al motore durante la manovra di uscita dal porto, che portò la nave in abbrivio, lunga 250 metri ed a pieno carico, contro la Torre Piloti posta a filo banchina sul molo Giano, provocandone il crollo e conseguentemente causando la morte di nove persone che vi lavoravano all’interno.

Come noto si è già celebrato il processo per l’abbattimento della Torre da parte della Jolly Nero che ha portato alla condanna in primo grado del comandante e degli ufficiali del cargo, ma a partire da settembre prossimo si avvierà il secondo processo contro i progettisti e realizzatori della Torre proprio a causa della mancata valutazione del rischio di impatto delle navi contro la Torre posizionata all’estrema propaggine di un molo, nonché nei confronti dei datori di lavoro per la mancata valutazione dei rischi sull’ambiente di lavoro.

Ebbene anche per la Torre Piloti ed a monte dell’errore di manovra e delle avarie della nave, la causa originaria dell’evento fu proprio la collocazione della struttura a filo d’acqua e senza protezioni, a cui necessariamente conseguì la catena causale che portò al crollo stesso.

Ed ecco, infine, il terzo ed ultimo anello mancante a questa concatenazione impressionante di disgrazie annunciate, in qualche modo legate alla città di Genova e purtroppo avvenute non casualmente sempre in ordine al traffico portuale, compresa quella del crollo del viadotto Morandi del 14 agosto.

Infatti l’esperienza maturata nel corso del processo ai membri dell’equipaggio della Jolly Nero e nel corso delle indagini che hanno condotto al rinvio a giudizio di progettisti e costruttori della Torre Piloti ci fanno ritenere che il tragico crollo del viadotto Morandi, che ha causato così tanti morti e così ingenti danni alle strutture della città e danni anche solo alla vita quotidiana dei suoi cittadini, sia anch’esso in qualche modo attribuibile, al di là di ogni dibattito politico a cui abbiamo assistito in questi giorni, ancora una volta alla dura legge del porto per cui ogni decisione riguardante la sicurezza viene fatalmente pretermessa ai colossali interessi economici ruotanti intorno alle esigenze dei “padroni” del porto di Genova, ossia delle compagnie di trasporti che scaricano merci a ritmo continuo 365 giorni all’anno h24.

Il monumentale scarico delle merci e la loro spedizione su ruote non può infatti trovare requie né ritardi e l’abuso delle delicate infrastrutture, vecchie di decenni e che dovrebbero essere rivedute, ampliate, e messe in sicurezza quanto prima, ha di fatto aggravato l’affaticamento dei materiali di cui era fatto il viadotto così quantomeno certamente accelerandone il crollo, come anche ha influenzato le decisioni di una possibile chiusura dell’asse viario per eseguire radicali opere di manutenzione.

Per non parlare del fatto che tutte le strutture erano esposte all’ambiente marino, che determina una maggiore aggressione degli agenti atmosferici sulle parti ferrose/acciaio, determinando per tale ragione un onere di particolare e ben più accurata manutenzione, che non risulta sia mai stato posto in essere ne sui ponti e tantomeno sulla torre.

Molte, dunque, le piste che la Procura di Genova dovrà percorrere per individuare ogni responsabilità penale che ha contribuito al crollo del viadotto, le cui indagini, non a caso, sono state affidate allo stesso Pubblico Ministero che si è già occupato dei due processi penali per la torre piloti di Genova.

E così, dunque, tristemente e drammaticamente il cerchio si chiude sui tre disastri annunciati, figli di errori di progettazione e della mancata valutazione dei rischi da parte di chi aveva in uso e gestione le infrastrutture, il tutto in danno della sicurezza dei cittadini e dei lavoratori che si trovavano per loro estrema sciagura nel posto sbagliato al momento sbagliato, pur nella consapevolezza di essere al sicuro nelle mani dello Stato o chi per lui.

Cesare G. Bulgheroni, Avvocato in Milano

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Una risposta a Genova, una torre e due ponti. Cronaca di disastri annunciati

  1. James ha detto:

    Un ponte, come qualsiasi altro dispositivo, deve avere un manuale di istruzioni per l’uso e la manutenzione, nella lingua dell’utente. Altrimenti come fa a sapere come usarlo e mantenerlo? Nel caso di opere in CLS, ci devono essere voci tipo: non usare per più di 50 anni; non sovraccaricare; usare solo per gli scopi ed entro i limiti, descritti in questo manuale.

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